Un dubbio, fra i tanti: non sarà che Calenda funziona così com’è? Non sarà che potrebbe raccogliere voti nel bacino dove il centrosinistra non arriva soprattutto per l’impeto provocatorio, la tigna energetica e il costante rilancio del suo personaggio iper-divisivo proprio a sinistra?
Faceva quasi tenerezza, l’altro giorno, Enrico Letta: “La personalità di Calenda non la scopriamo adesso, è nota a tutti”, e con tutto che l’intervista era scritta, impossibile non immaginarselo mentre allargava le braccia alzando gli occhi al cielo. D’altra parte Pierluigi Bersani, ormai distaccato dalla contesa, ne ha detta una delle sue, a sfondo biblico: “Calenda dà l’impressione di essere lui nella Valle di Giosafat che decide i buoni e i cattivi”.
Tra questi ultimi ha individuato da giorni l’accaldato duoBonelli & Fratoiannie ci ha dato dentro – grafomania contundente, decine di tweet – con lo scopo di far meglio e più duramente risaltare la sua diversità non solo rispetto ai trafelatissimi rosso-verdi, che sarebbe scontato, ma dallo stesso Pd. In estrema semplificazione social: “Il Pd è il Pd e noi siamo noi” – là dove, al cospetto del più conclamato egotismo, fiorisce il sospetto di un plurale majestatis.
Calenda infatti è solo, un classico leader solo al comando, come il Renzi che sfondò nell’elettorato di centrodestra alle europee del 2014 (40 e rotti per cento), e già questo è un messaggio per il senso comune di quell’area. Poi, in realtà, la faccenda è un po’ più complicata; e come accade in questo tempo di apparenze, non di rado innervate da inevitabili anche miserevoli declinazioni pop, meglio di tante parole la spiega un’immagine, non a caso ricomparsa qui e là negli ultimi giorni.
Si tratta di una foto in cui Calenda, durante la campagna elettorale per sindaco di Roma, mostrando il pugno con un’espressione goffa, ma poi nemmeno troppo, indossa una maglietta bianca su cui sono sovrapposte, in romanesco, le parole “Piuma o Fero” quali possibili opzioni dell’agire, anche politico. Tale ambivalenza è una cine-citazione da “Bianco Rosso e Verdone”, pronunciata dal greve caratterista Mario Brega dopo aver fatto un’iniezione indolore all’indimenticabile Sora Lella. Dopo di che, “sta mano – fa presente Brega – po’ esse fero e po’ esse piuma!”.
Messa in produzione un’apposita maglietta, Calenda ne distribuì diversi esemplari a Ostia. Sempre indugiando su tali aspetti frivoli, ma oggi divenuti terribilmente seri, richiamò la medesima frase cercando di portare dalla sua un influencer, Damiano er Faina, fino ad allora – vedi vedi – schierato a destra. Proprio in quell’occasione espose il nucleo del suo programma: “Per me la politica è risolvere i problemi, non mi importa di destra e sinistra”. Un tempo si sarebbe detto qualunquismo; oggi il punto è che i voti non olent e il centrosinistra ne ha maledettamente bisogno.
Nella sede di Azione, in qualità totem, è esposta la dentatura di uno squalo (per i maniaci: analogo cimelio fu donato a Franco Marini dopo la vittoria su Sbardella, detto “lo Squalo”). Con necessaria, ma superficiale approssimazione, si può pensare che Calenda, di cui la pariolinità è toponomasticamente dubbia, abbia comunque diversi tratti antropologici della destra. È realista, nel senso che non crede alle utopie; è anti-buonista, anti-diplomatico e prepotentello. Dopo la cacciata di Raggi, alla buvette del Campidoglio ha strappato via il cartello “vietato fumare” e si è acceso una Marlboro.
Considera il Pd: “Una grande seduta di psicanalisi”. Una volta, attaccato da Mattia Santori, ha consigliato Letta di assestare “una pedata nelle chiappe” alle Sardine.Consapevole che i suoi nuovi alleati sono cresciuti a suon di “I care“, dice e ridice: “Non me ne può fregare di meno”. Per certi versi, anche seguendo una sorta di mood cavalleresco, è attratto dagli avversari. Se gli avversari lo votano, magari a fine settembre la destra rimane con un palmo di mano.