Il piano B di Letta: “Se salta l’accordo andiamo al voto da soli”

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ROMA – Si può fare un mese e mezzo di campagna elettorale con Calenda che attacca Fratoianni o Di Maio o Bonelli e viceversa? È la domanda che tutti nel Pd, Enrico Letta per primo, si sono posti con angoscia ieri mentre veti, scomuniche e ultimatum reciproci tra i potenziali alleati si affastellavano in pubblico su Twitter, il social che rischia di trasformare la corsa della non ancora coalizione in un reality dei più litigiosi e trash. E la risposta è no: non si può fare. Perché di questo passo a Meloni non servirà nemmeno fare propaganda per ritrovarsi a Palazzo Chigi, le basterà accomodarsi in platea e godersi le diatribe dei rivali.

Letta resta impegnato fino in fondo a costruire l’alleanza a tre gambe, di qua Verdi e Sinistra italiana e di là Azione e +Europa, piùDi Maionon si sa bene ancora come e dove, e nonostante il circo di scontri è cresciuto in serata al Nazareno l’ottimismo sulla possibilità di riuscire nell’impresa. Ma ovviamente non dipende solo dal Pd e uno spettacolo come quello di ieri, Letta lo ha detto anche aCalenda nel loro faccia a faccia, non può essere replicato, se l’alleanza riuscirà a sopravvivere a quest’ultimo miglio di trattative. I dem considerano ingiustificate e intollerabili le intemperanze social del leader di Azione e anche su questo Letta ha provato a tenere il punto: l’accordo conFratoiannieBonelli, ora molto probabile, non mette in discussione i passaggi sottoscritti nel documento tra il Pd e i centristi, dove peraltro è espressamente prevista la stipula di intese con altre forze.

Quindi il Pd si aspetta che da qui al 25 settembre Calenda punti i cannoni digitali verso la destra, come aveva promesso di fare in un precedente incontro. L’intesa con l’ala rosso-verde sarà chiusa con modalità diverse – non ci sarà un documento ampio e dettagliato come quello con Calenda – per non restituire l’idea che il centrosinistra si fondi su “contratti” in contraddizione tra di loro. Ovviamente tutto si regge su equilibri fragili e solo la responsabilità dei leader può dare senso e respiro a un patto elettorale che, seppure dovesse andare avanti, con queste premesse non pare comunque avere grandi chance di trasformarsi in una coalizione degna di tale nome.

Per questo Letta non esclude nulla, nemmeno di presentarsi alla sfida con Giorgia Meloni solo con la sua lista, allargata a Democratici e Progressisti, anche se questo non è e non sarà mai il suo piano principale. Però l’allarme è arrivato a livello alto e il ragionamento che fanno in molti nel partito è che, se la situazione non migliora, è meglio puntare al 30 per cento con i voti di un Pd trainato da una corsa in solitaria e dal voto utile piuttosto che fermarsi a un risultato complessivo più o meno analogo con una coalizione scombinata e impresentabile.

Il Pd potrebbe puntare a essere il primo partito, un dato politico che avrebbe un peso nel prossimo Parlamento, comunque sarebbe una sconfitta più dignitosa e più utile in prospettiva a tenere viva una speranza di rivincita sulla destra. Dario Franceschini è tra i più convinti che il Pd debba mettere gli alleati di fronte all’aut aut: o insieme responsabilmente o ognuno per conto suo. “Nella coalizione ci devono essere una gamba di sinistra e una gamba di destra, con meno di questo non ci sarebbero le condizioni”, ragionava nei suoi colloqui di ieri il vicesegretario Peppe Provenzano.

E nella sinistra del partito l’ex presidente dem Matteo Orfini sottolinea gli effetti positivi di un Pd risolto a puntare tutto sulle sue forze: “Ho sempre pensato che la reazione migliore alla fine del rapporto con il M5S fosse andare da soli al voto e, per come si sono messe le cose, potrebbe essere la via migliore per entrare in campagna elettorale con entusiasmo e fiducia”.

Il Pd al voto senza alleati resta però un piano B. Una scelta possibile che Letta proverà a evitare “fino agli ultimi sforzi”, per usare la sua espressione, perché la volontà di costruire un campo nasce dalla convinzione che questa sia la risposta politica più giusta alla sfida sovranista della destra e quella che offre la possibilità più concreta di contendere la vittoria a Meloni. Tutti pagherebbero un prezzo in caso di dietrofront. La speranza di Letta è di chiudere entro oggi la partita delle alleanze, perché la scadenza si avvicina e più ancora perché il centrosinistra non può continuare a sprecare giorni di campagna elettorale parlando di seggi, collegi e perimetri mentre dall’altra parte sono così sicuri della vittoria da pensare già alla spartizione dei ministeri. 

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