Il corpo dei leader al galà del governo: Matteo porta Silvio, nella voce di Giorgia un senso di rivalsa

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Entrano insieme. Giorgia, la dama bianca, mentre Matteo tiene per mano Silvio, come un figlio, o piuttosto come una badante che lo accompagna al microfono. La fissità di Silvio è una maschera che non si modifica mai, mentre il sorriso mostra la sfilza dei denti bianchissimi. Il corpo del capo è quello d’una mummia che sembra aver sfidato le leggi della eternità. Lui è come la celebre cucina pubblicizzata dalla Cuccarini: il più amato degli italiani.

Matteo alza il dito pollice dell’ok. La camicia bianca e la giacca scura: niente più felpe o magliette con slogan. Si tratta di una serata di gala: si va al governo. Gli slogan li portano i ragazzi col cappello blu in testa e i cartelli della Lega. Salvini si cita addosso, si dà il voto da solo. Sfodera un linguaggio da Bar Sport, un discorso non da statista, ma da tribuno, da comizio: basso basso; non ha il lessico e gli argomenti per farlo, va a braccio e sbanda. Pure l’autismo cita. Saprà cos’è? Niente che abbia la forma di un ragionamento. Solo slogan e affermazioni apodittiche. L’idea è quella di prendere per mano l’Italia. “Io voglio governare l’Italia”. La mano si agita nell’aria e il dito alzato rotea all’intorno. “Andiamo a vincere”. E si applaude da solo. 

Ecco ora Giorgia, la prima donna, la Eva della politica italiana. Balla e scuote la chioma bionda. La voce squillante. Ride. La piazza è tutta per lei: “Vi voglio bene”, dice. Gli orecchini vistosi, al polso un bracciale tricolore. Lei è la donna della porta accanto. La trovi dal parrucchiere, al mercato e a prendere un caffè al bar. La sua voce suona forte, contiene dentro di sé un senso di rivalsa profondo. La sua voce tradisce qualcosa che va al di là della volontà di governare. C’è un senso di vendetta in quella voce. La dama bianca non è un fantasma, incarna una volontà di rivincita, qualcosa che viene da lontano. Anche lei si autocita. “Facciamo paura?”, si domanda. La sua retorica è quella del risentimento e in qualche modo della rabbia. Non parla agli elettori, non parla al Paese, parla agli altri partiti, agli avversari. “Noi lo faremo comunque”, dice della riforma presidenzialista. Parla ai nemici, li minaccia. Non fa nomi. Sono gli speculatori, i poteri occulti. L’attacco è a Letta e al Pd. Qualcosa nella sua voce tradisce tuttavia una insicurezza di fondo. Non fa proposte. Combatte l’ultima battaglia, che per lei è la prima. Ogni tanto la parola si inceppa, ma poi alza il tono di voce. Scandisce le parole, e di colpo abbassa il volume e diventa suadente, come se parlasse a contatto del nostro orecchio.

Giorgia Meloni icona della destra trash

di Marco Belpoliti

14 Giugno 2022

A differenza di Salvini, che è tutto sull’Io, lei usa il Noi. Noi Giorgia. Quello che deve fare lo Stato con gli italiani è “non rompergli le scatole”. Siamo alla sezione missina della Garbatella. Non è una statista, forse è un leader, ma non è capace di convincere, non possiede il tocco magico del guru. Parla di cambio del paradigma, ma la frase inciampa subito dopo. Diventerà pure una presidente di Consiglio, ma non ha la forza di superare la propria partigianeria. Sarà un governo della parte sul tutto. Lo dice la sua mimica, le mani, la voce, le argomentazioni. Non sarà un futuro sereno per nessuno, lo si capisce da quello che dice. 

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