Una inviata per il clima, la mossa del governo italiano in vista del vertice Cop26

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Roma – L’inviato speciale per i cambiamenti climatici che non c’è arriva a settembre. Manca solo l’ufficializzazione, dice in queste ore il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che proprio per sciogliere questo nodo due settimane fa è andato in via Cristoforo Colombo, nella sede del ministero della Transizione ecologica, per parlarne con Roberto Cingolani. È stato il capo della Farnesina a voler istituire questa figura, sul modello di quanto fatto da Joe Biden negli Stati Uniti. Il presidente americano ha scelto John Kerry, ex vicepresidente, ex candidato alla Casa Bianca, con un passato da negoziatore su questi temi, per segnare un cambio di passo rispetto all’amministrazione Trump, che ha a lungo portato avanti tesi negazioniste sui cambiamenti climatici. Negli Usa però un vero ministro dell’Ambiente non c’è (i compiti sono svolti per lo più da quello dell’Energia) e quindi creare un nuovo ruolo era più semplice. In Italia Cingolani ha di fatto subito una scelta che potrebbe depotenziarlo ai tavoli internazionali.

L’idea di dover condividere la mediazione sul clima con un’altra figura diplomatica o politica non lo entusiasma, ma nell’incontro con il ministro degli Esteri è stato raggiunto un accordo: c’è una rosa di tre nomi, tutte donne, con incarichi internazionali alle spalle su questi temi e profili puramente tecnici. Con la predilezione su una, che però rimane una carta coperta.

Se davvero Di Maio aveva pensato inizialmente al suo sottosegretario Manlio Di Stefano, o addirittura all’ex ministro Sergio Costa, ha capito presto che non c’era verso. Così come Cingolani non sembra favorevole all’idea, spinta dal Pd e dagli ecologisti di Eco, di nominare l’ex parlamentare europea Monica Frassoni. Figura troppo politica, che rischia di confliggere proprio con Di Maio e con il responsabile del Mite. Ci sono davanti a noi una serie di appuntamenti molto importanti. Il primo — per Cop26 — sarà a Milano il 30 settembre. A novembre ci sarà la vera Cop26, a Glasgow. E ancora il G20 del 30-31 ottobre a Roma, dove il clima è al centro dell’agenda. Avere già un inviato avrebbe forse facilitato il lavoro, ma l’essenziale — secondo gli Esteri e il Mite, su questo molto uniti — è che sia una figura di raccordo e non un altro decisore.

La nomina dell’inviato speciale per il clima dovrebbe contribuire ad accelerare gli interventi per raggiungere l’obiettivo ambizioso del taglio del 55 per cento delle emissioni rispetto al 1990 entro il 2030. Perché uno dei punti deboli della Missione 2 del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) dedicato alla “rivoluzione verde” è proprio quello relativo ai tempi della transizione che Cingolani ha scelto più lenta rispetto a ciò che invocano gli ambientalisti. L’Italia ha ritardi strutturali da colmare. Disse il presidente del Consiglio Mario Draghi al Leaders summit on climate di aprile: «L’Italia è un Paese bello, ma fragile». Vulnerabile sul versante idrogeologico e sismico; con un parco auto vecchio e con un rapporto auto/persone più alto rispetto alla media europea; con una quota del trasporto merci su rotaie più bassa rispetto all’Europa; con tassi di inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque ancora troppo marcati. L’Italia dunque parte male ma potrebbe essere avvantaggiata nel processo di transizione per la scarsità di risorse tradizionali (petrolio e gas naturale) ma anche per l’abbondanza delle rinnovabili.

Complessivamente il Pnrr destina quasi 70 miliardi alla transizione ecologica: 59,47 miliardi dal programma europeo del Next Generation Eu, 9,32 miliardi dal Fondo nazionale complementare e, infine 1,31 miliardi dalprogetto React-EU.

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