KIEV – I soldati russi sono entrati a Sudzha, occupandola. Era il fulcro dell’intera operazione ucraina, iniziata ad agosto dell’anno scorso sorprendendo all’alba i soldati dell’omonimo posto di frontiera e spingendo i carri a occupare 1.200 chilometri quadrati di Russia, nella regione di Kursk. Nei giorni scorsi, di fronte a un’avanzata brutale dei russi che intendevano chiaramente riconquistare l’intera regione prima di sedersi a un tavolo negoziale per non concedere una carta di scambio, ne erano rimasti meno di 300.
Le truppe di Kiev si stanno ritirando, e secondo molte fonti anche ucraine l’operazione è praticamente conclusa. La battaglia è stata feroce, ma forse l’epilogo non è una vicenda indipendente rispetto alla grande giornata diplomatica di ieri in Arabia Saudita: ci sono speculazioni – non confermate – secondo cui l’exit strategy dal Kursk, che rischiava di diventare un inutile bagno di sangue per i soldati ucraini rimasti a difendere e a resistere, sarebbe stata discussa e concordata al tavolo di Gedda.
In ogni caso, le bandiere russe sono state già issate sul municipio di Sudzha, e il capo delle forze armate ucraine Syrsky ha rimosso il generale Dmytro Krasilnikov responsabile delle operazioni militari nell’area, scatenando un vespaio di polemiche: Mariana Bezugla, deputata del Servi del Popolo di Zelensky molto critica con il capo delle forze armate, lo ha accusato stamattina di essersi liberato del generale per regolare conti personali adducendo come giustificazione che l’ordine arrivasse dall’Ufficio presidenziale: “Ho controllato, sei un bugiardo vendicativo”.
L’accordo con gli americani ha fatto tirare un enorme sospiro di sollievo agli ucraini, che si sentivano abbandonati dal loro più importante e indispensabile alleato. Dopo il taglio degli aiuti e persino dell’intelligence militare che impediva di attaccare ma limitava anche la difesa, molti rivolgevano a Trump l’invito a “seguire la nave russa”, quella che i soldati dell’Isola del Serpenti mandarono a quel paese quando chiese loro di arrendersi all’indomani dell’invasione. Oggi invece un gruppo di parlamentari propone di erigere un monumento a George Washington, il primo presidente americano. La richiesta è stata formalizzata alla Verkovna Rada, il parlamento di Kiev: provvedimento “numero 3066”.
Ma contrariamente a ciò che molti non ucraini si aspettavano, sui giornali locali e nella vita di tutti i giorni non c’è molta emozione per la svolta storica di Gedda, che pure rimarrebbe tale anche se i russi rifiutassero l’accordo perché avrebbe comunque ricucito i rapporti con l’America. Si presentano i risultati noti, ma sono linee guida generali e il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. Allora si discutono le speculazioni sui dettagli filtrati da fonti varie, ma non vengono mai indicate per nome e cognome e quindi non sono verificabili né soppesabili. Tutti, anche i media apertamente filorussi, vantano presunte “nostre fonti nell’ufficio presidenziale”. Per questo anche l’idea che la fine dell’occupazione del Kursk sia parte dell’accordo di Gedda, una tesi che rimbalza molto, restano appese a conferme o smentite ufficiali che ancora non ci sono.
I titoli del giorno restano altri: è stata l’ennesima notte orrenda di bombardamenti, con esplosioni e contraerea al lavoro in decine di città tra le quali anche Kiev. Dopo l’assalto record di droni ucraini in dieci regioni russe, nella notte i russi hanno replicato sferrando una serie di attacchi in tutto il Paese partendo da Odessa, dove un missile ha centrato una nave cargo uccidendo quattro persone. A Dnipro una decina di case sono finite sotto tiro, e a Karkiv i droni Shaheed ronzavano tra esplosioni di contraerea. I droni hanno distrutto un magazzino a Sumy, e centrato per la seconda volta l’albergo Druzhba di Kryvyi Rih, lo stesso albergo già colpito in passato, uccidendo una donna di 47 anni. Nei dintorni di Kiev, invece, i droni hanno provocato danni e incendi a Fastiv e Brovary.
Lo scetticismo degli ucraini si riversa così sui social, perché tutto sembra fuorché la vigilia di un cessate il fuoco: tornano a galla, preponderanti, la diffidenza verso i russi e la paura che a Gedda, pur di compiacere Trump, si siano fatte promesse di concessioni territoriali per poi presentare come un successo quella capitolazione che si giurava di volere evitare: Zelensky “rifiuta a Washington, poi accetta a Gedda”, scrive Elena Prekrasnaya aggiungendo l’icona del braccio di ferro con pizzico di ironia ma anche di compiacimento. Sono i sentimenti che vanno per la maggiore in attesa di conoscere i dettagli e, soprattutto, la risposta di Mosca.