È stato un sabato drammatico nel quartier generale di Mosca. I problemi sono tanti e le soluzioni poche. I rapporti dal fronte segnalano nuovi possibili assalti, soprattutto in direzione di Donetsk, la capitale secessionista. La prima decisione è dove investire le riserve disponibili: cercare di arrestare l’offensiva che da Izyum procede verso la frontiera russa è la priorità. L’unica pedina di rapido impiego sono le truppe del Terzo Corpo d’Armata, creato negli scorsi mesi alle porte di Mosca: un’unità composta di volontari anzianotti, ma munita di artiglieria e tank. Bisogna trasferirla oltre il confine senza che i razzi Himars e gli altri strumenti forniti dalla Nato trasformino il movimento in una strage. E capire dove mandarla, perché la coperta è molto corta.
Se interviene nel settore orientale, il comando di Kiev potrebbe approfittarne per aumentare la spinta a Sud, nella zona verso il mare e verso Kherson, o lanciare un’altra offensiva nel Donbass. In entrambi i casi, non ci sarebbero più forze di riserva. La questione chiave sul tavolo di Vladimir Putin è la natura stessa del conflitto: da aprile si è cercato di contenere le perdite, affidando i combattimenti soprattutto a fanti delle repubbliche secessioniste, mercenari, brigate paramilitari della Rosvgardia. Un’accozzaglia di truppe senza coordinamento che non ha saputo rispondere in maniera organizzata all’attacco ucraino. Questa scelta è nata dalla volontà di tenere un profilo basso, continuando a portare avanti “un’operazione militare speciale” senza mobilitare i ragazzi di leva e dichiarare lo stato di guerra. Adesso la parola vietata dal Cremlino viene evocata dai falchi e non pare ci siano alternative per affrontare i prossimi mesi di scontri.
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di Gianluca Di Feo
Putin inoltre deve riuscire a risollevare il morale dei suoi uomini, sempre più perplessi sulla situazione in Ucraina e adesso consapevoli delle disfatte. Non ha armi speciali che possano rovesciare le sorti del conflitto. I missili a lungo raggio che piovono in queste ore su Karkhiv sono le ultime scorte, perché l’embargo ha paralizzato le fabbriche.
La potenza dell’aviazione russa non è riuscita a fare la differenza: le squadriglie continuano a venire impiegate poco e male. Ormai non volano più sull’Ucraina occidentale: nelle ultime settimane le incursioni per ostacolare i rifornimenti della Nato sono crollate. La madre di tutti i problemi resta proprio l’inesauribile consegna di armamenti occidentali a Kiev: ogni giorno arrivano nuovi tank, nuovi cannoni, nuovi radar. E Putin non ha strumenti per fermarli.
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E’ uno scenario nefasto, in cui cominciano sempre spesso più a venire evocate le bombe nucleari tattiche: l’unica supremazia russa sull’Ucraina. Pochi giorni fa lo ha messo nero su bianco il generale Valeriy Zaluzhnyi, comandante delle forze di Kiev: “E’ difficile immaginare che un attacco nucleare permetta di spezzare la volontà ucraina di resistere. Ma la minaccia per l’intera Europa non può essere ignorata. E non si può neppure escludere la possibilità di un conflitto nucleare limitato che coinvolga le potenze mondiali”.