Meloni e quel motto fascista, slogan nostalgici per la scalata

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Dice Giorgia Meloni che “Dio, patria, famiglia” non è uno slogan ma “il più bel manifesto d’amore”. Un manifesto che “attraversa i secoli e affonda le sue radici nel ‘pro Aris et Focis’ di Cicerone. L”altare e il focolare’ che da sempre fondano la civiltà occidentale”. Aggiunge, la leader di FdI, di sentirsi “erede di una tradizione, una cultura, un’identità e un’appartenenza”. “Dio, patria e famiglia”, dunque.

Come mai, a un mese e mezzo dalle elezioni dovesi gioca la sua partita politica più importante, con il vento in poppa dei sondaggi e la coalizione di centrodestra in mano,Melonisente la necessità di rispolverare – bonificandola – la vecchia triade fascista? Il motto che, dal dopoguerra, non ha mai smesso di rappresentare un “suono”, un richiamo irresistibile per i partiti di estrema destra? L’interrogativo è una delle chiavi possibili – proprio perché offerta da lei – per entrare nelle pieghe della comunicazione usata in questi tre anni dall’aspirante capa dei conservatori nella sua scalata.

Un mix di suggestioni identitarie e di “equivoci” linguistici voluti, adrenalina e sdoganamento, e poi giù a spegnere nel nome di quella “terza via” che – osserva Gigi Marcucci, autore di “Strisciarossa” – “la leader dei sedicenti ‘patrioti’ infila di continuo. La ‘terza via’ è una linea ambigua e pericolosa. E’ quella del ‘non riconosco la matrice’ e però intanto cito gli slogan della tradizione della casa (“Dio, patria, famiglia”)”. Marcucci usa questa metafora: “Ogni volta che il fascismo riappare, qualcuno fatica a riconoscerlo. È come se un parente ricco, ma dal passato imbarazzante, improvvisamente suonasse al citofono.

Che fare, cacciarlo o accoglierlo? C’è una terza via: fingere di non essere in casa, sperare che se ne vada ma si ricordi di noi per l’eredità”. In che forma? E, soprattutto, quando? “Fuor di metafora, quando si aprono le urne ed è utile che rabbia diffusa e nostalgia del fascismo si mescolino, cancellando distinguo che a destra vengono considerati antiquati”. Qui si torna. All’utilizzo delle parole. È vero che di “Dio”, di “patria” e di “famiglia” scrisse Giuseppe Mazzini nei “Doveri dell’uomo” (1860). Ma a coniare lo slogan fu, nel 1931, il gerarca fascista Giovanni Giuriati (all’epoca segretario del PNF). Insieme a Marinetti e Balbo, Giuriati si rivolgeva ai giovani dalla tribuna di “Gioventù fascista”, richiamandoli all’ordine, alla disciplina, all’obbedienza, al sacrificio per la patria e per il duce. Ed enunciando la “triade” rispolverata da Meloni nell’estate 2022.

“La leader di FdI tenta un’operazione di bonifica di un’idea cardine dell’ideologia fascista – ragionano gli analisti dell’Osservatorio sulle nuove destre -. Uno slogan riproposto come orizzonte valoriale e programmatico in diversi discorsi fatti da Meloni negli ultimi tempi: come difesa delle ‘radici cristiane’, del ‘sacro’ e della ‘nostra spiritualità’, una battaglia a livello europeo”. Citazioni dal discorso al comizio di Vox, Madrid, ottobre 2021. Il pre-Marbella. “La ‘patria’, nel nuovo linguaggio meloniano, diventa “Nazione”. Una nazione abitata da ‘patrioti’ – non più dunque semplicemente un Paese – con un ‘destino’ nel Mediterraneo culla della ‘nostra civiltà'”. Anche qui le assonanze con il passato e il sounding nostalgico si sprecano. Si parla di “famiglia”? Per Meloni – parole sue – la famiglia è “nucleo fondamentale per la procreazione”, oggi sotto attacco da parte di chi mette in discussione l’ “identità sessuale”.

Nella grancassa della comunicazione “neopatriottica” sembra di risentire le antiche melodie nere. Perché nella visione di Giuriati (titolare del copyright, poi ripreso dalla Destra di Storace nel 2007) la triade prevedeva la criminalizzazione dell’omosessualità, l’attaccamento alla patria e all’identità, al sangue, al suolo: in chiave xenofoba. Ragiona Marco Filippeschi, per dieci anni sindaco di Pisa, già deputato dem: “Meloni fa leva su parole d’ordine mobilitanti. Lo è ‘Dio, patria e famiglia’ come lo è “prima gli italiani”, o “patriota”. Termine, quest’ultimo, desueto e ripetuto ostentatamente. Meloni sa bene a chi si rivolge. Quando esalta la “comunità politica” o parla di “stirpe di sicura fede” e di “fedeltà all’idea” – aggiunge Filippeschi – coltiva una precisa identità, “quella dei vinti che rinascono”. Già. Puntando a raggiungere in un sol colpo due platee : l’elettorato “identitario” , per il quale la fiamma arde ancora, e quello moderato. Che “donna Giorgia” rassicura con il balsamo del “più bel manifesto d’amore”.

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