Cliniche chiuse e rischio povertà per le donne: le conseguenze della sentenza della Corte suprema Usa sull’aborto

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Il giorno dopo la sentenza della Corte Suprema sull’aborto, l’America e il mondo si interrogano su significati e le conseguenze di una decisione che, come ha detto il presidente Joe Biden, “riporta indietro la storia”. Ecco una mappa di quello che sta accadendo.

Cliniche che chiudono

Numerose cliniche in Alabama, Texas, West Virginia hanno immediatamente messo fine agli interventi per l’interruzione della gravidanza per timore di venire incriminate, mandando via in lacrime le donne che erano in attesa dell’operazione in ambulatorio. “Alcune delle nostre pazienti sono scoppiate a piangere e non riuscivano a parlare”, afferma Katie Quinonez, direttrice esecutiva dell’unica clinica per aborti della West Virginia, uno degli stati più antiabortisti degli Usa. Il suo staff ha trascorso la giornata a cancellare appuntamenti.

In tutto, la sentenza ha avuto l’effetto di bloccare immediatamente gli aborti in nove Stati su cinquanta. Altri due stati, Oklahoma e Sud Dakota, avevano già interrotto la procedura nell’ultimo mese, dopo che le indiscrezioni del sito di news Politico hanno indicato che la Corte si prepara a non riconoscere più come costituzionale il diritto d’aborto.

Complessivamente, 73 milioni di persone vivono negli undici stati in cui l’aborto non è già più possibile, più di un quinto della popolazione americana. La suddivisione segue rigidamente gli schieramenti politici, con gli Stati del sud e del west più fervidamente repubblicani che hanno subito chiuso le cliniche per l’aborto, mentre l’aborto rimane possibile negli stati in mano al partito democratico i cui parlamenti hanno legiferato a favore dell’aborto.

La battaglia dei dem in vista delle elezioni di mid-term

La sentenza dà nuovo impeto alle elezioni di mid-term di novembre in cui gli Stati Uniti dovranno rinnovare l’intera Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato: un voto da cui dipende la possibilità dell’amministrazione Biden di mantenere una maggioranza in parlamento e provare a fare approvare una legge federale sul diritto d’aborto, che aggirerebbe la decisione della Corte Suprema. Sono importanti anche varie elezioni per il posto di governatore di singoli stati.

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Da sempre un termometro del gradimento del presidente, a questo punto le elezioni in programma fra poco più di quattro mesi assumono ancora maggiore rilievo, diventando un’indicazione dell’atteggiamento degli americani su una questione che spacca il Paese e sui rischi di ulteriori divisioni in vista delle presidenziali del 2024 a cui potrebbe ricandidarsi Donald Trump.

Gli attivisti dei gruppi per il diritto all’aborto affermano che ora la priorità è convincere gli elettori ad andare alle urne: in una nazione in cui l’affluenza alle presidenziali è appena intorno al 50 per cento degli aventi diritto, i votanti alle elezioni di mid-term sono tradizionalmente ancora meno numerosi. La possibilità di conservare una maggioranza al Congresso per il partito democratico dipende dunque in larga misura dal tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica e ridurre il livello dell’astensione.

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“Un Congresso in mano a una maggioranza repubblicana passerebbe una legge federale per vietare del tutto l’aborto in ciascuno dei 50 stati”, afferma Cecile Richards, ex-presidente di Planned Parenthood e co-presidente di American Bridge 21st Century, due associazioni per i diritti delle donne. “Questo è il loro piano e il nostro piano è impedirglielo”.

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“Conseguenze economiche devastanti”

Vari esperti ritengono che il verdetto della Corte avrà “devastanti conseguenze economiche” sugli Stati Uniti. Secondo il rapporto Turnaway sull’argomento, le donne che devono portare avanti una gravidanza non desiderata hanno quattro volte più probabilità di trovarsi in povertà. Allevare un figlio sino alla maggiore età, rivela uno studio del dipartimento dell’Agricoltura americano, costa una media di 230 mila dollari a famiglia.

“La decisione dei giudici causerà immediati problemi economici nei 26 stati in cui diventerà possibile il divieto di aborto e dove la gente ha basso reddito e scarso accesso all’assistenza sanitaria pubblica”, osserva Heidi Shierholz, presidente dell’Economic Policy Institute. “Il diritto d’aborto è anche un diritto economico e questa sentenza significa la perdita di indipendenza e sicurezza economica per le donne a basso e medio-basso reddito, specie appartenenti a minoranze etniche.

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In un dossier presentato lo scorso anno alla Corte Suprema, 154 economisti citano “prove sostanziali che il diritto all’aborto ha avuto un effetto significativo sul controllo delle nascite e sull’accrescimento delle opportunità di studio e di lavoro per le donne”. Altri studi indicano che il divieto d’aborto aumenterà la mortalità per le donne incinta e aumenterà i costi per gli stati.

L’aborto nel mondo

Con la sentenza di questa settimana, gli Stati Uniti si uniscono a soltanto tre nazioni che hanno diminuito i diritti all’aborto dal 1994 a oggi: El Salvador, Nicaragua e Polonia. Al contrario, negli ultimi venticinque anni quasi sessanta paesi hanno liberalizzato le leggi sull’aborto. I paesi in cui l’aborto ha fatto passi indietro, commenta Margaret Harpin, esperta legale del Center for Reproductive Rights, sono paesi in cui “la democrazia è stata erosa” In tutto, 94 milioni di donne in età riproduttiva vivono in paesi che proibiscono l’aborto in qualunque circostanza.

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Malta è l’unico paese dell’Unione Europea che vieta l’aborto senza alcuna eccezione. Quarantadue paesi permettono l’aborto solo se necessario a salvare la vita della madre: tra questi figurano Cile (che è in procinto di approvare una nuova costituzione e potrebbe cambiare atteggiamento al riguardo), Guatemala, Libano, Libia, Malawi, Nigeria, Oman, Sud Sudan, Tanzania e Uganda. Altri 50 paesi permettono l’aborto anche per ragioni di salute o terapeutiche. In Polonia è ora permesso soltanto in caso di stupro o di pericolo per la vita della madre. Altri paesi in questa categoria comprendono Algeria, Burundi, Camerun, Costa Rica, Ecuador, Marocco, Kuwait, Pakistan, Perù, Arabia Saudita e Zimbabwe.  

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