Oliver Stone: “Haggis come Amanda Knox. Il MeToo è agghiacciante, quando incontri una donna ora è meglio essere in tre”

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OSTUNI (Brindisi) – Incontriamo Oliver Stone a mezzogiorno, maglietta rossa e pantaloncini, un caffè, nel salotto antico del Paragon di Ostuni. Il regista è all’Allora Festival che ospita tra gli altri Matt Dillon, Marisa Tomei, Jeremy Irons, Edward Norton, divi che si sono eclissati rinviando, poi disdicendo, le interviste fissate, per evitare di commentare la vicenda di Paul Haggis, ai domiciliari in una masseria con l’accusa di aver violentato una trentenne inglese. Ma il regista premio Oscar di JFK, 75 anni, non è uno che si tira indietro. 

Il festival ha due direttrici, Silvia Bizio e Sol Costales Doulton, una rarità in un panorama mondiale appannaggio di delegati uomini: «Berlino, Cannes, Venezia sono festival grandi, questo è una delle piccole rassegne estive che mi portano in Italia a scoprire luoghi magnifici e a mostrare i miei film — dice Stone — qui proietto Bush al pubblico italiano e ne discutiamo. I miei film sono apprezzati in Francia, Germania, Italia. Anche negli Stati Uniti ho molti fan ma i media sono duri con me perché parlo troppo in libertà».

Come ha reagito quando ha saputo del fermo di Haggis? 
«La notizia non poteva arrivare in un momento peggiore. So che è in corso un’indagine approfondita, nessuno vuole un caso allaAmanda Knox. La verità è che conl’era MeTooè aumentata la sensibilità sull’argomento, qualunque accusa su qualunque cosa. Ora è difficile per un uomo e una donna parlare in un ambiente intimo, privato, non sai mai cosa può seguirne. Meglio essere sempre in tre».

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Ma nel caso di Haggis le accuse sono molto serie. 
«Non conosco il sistema giudiziario italiano, non so se è come in Fuga di mezzanotte ma mi pare di capire che i giudici hanno molto potere. So che in Brasile il potere dei giudici è forte, Lula è stato fatto fuori da un giudice».

Nel suo paese Bill Cosby è appena stato condannato a pagare un risarcimento di 500 mila dollari per violenza su Judy Huth, che nel 1975 aveva 16 anni. 
«Ma non andrà in prigione, no? La cifra se la può permettere. Le indagini sono sempre complesse e approfondite. Come è stato complesso il lavoro per JFK Revisited, il documentario fatto trent’anni dopo l’uscita del film. Con nuovi materiali verificati da un’indagine ufficiale, federale, che i media americani hanno ignorato. È la nuova censura: omettere. I media tradizionali non cercano la verità. Hanno voluto vedere solo la mano di Lee Harvey Oswald. Era una cazzata allora e lo è oggi. C’è un altro lavoro appena finito a cui tengo molto, sull’energia nucleare». 

All’assassinio Kennedy Oliver Stone ha dedicato il film ‘JFK’ e nel 2001, trent’anni dopo, il documentario ‘JFK Revisited’ 

È un sostenitore?
«Completamente. È simile a JFK Revisited, due anni di lavoro basato su fatti, quello che sappiamo, ciò che dicono gli scienziati, le paure della gente. È una forma di energia che venne respinta ma andrebbe ripresa in considerazione. Mi piacciono le rinnovabili ma costano, richiedono spazi, vento e sole dipendono dalle condizioni atmosferiche, non offrono certezze e grandi volumi». 

All’assassinio Kennedy Oliver Stone ha dedicato il film ‘JFK’ e nel 2001, trent’anni dopo, il documentario ‘JFK Revisited’ A parte i documentari lei lavora anche a “White Lies”, un film personale su tre generazioni di una famiglia.
«Ho abbandonato il progetto per mancanza di finanziamenti. Ora ne ho un altro, ma non ne parlo finché non avrò maggiori certezze».

Neanche Francis Ford Coppola ha trovato un finanziatore per il suo ‘Megalopolis‘ e lo sta producendo da solo. 
«Sì, ma i mei progetti non costano cento milioni». 

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Il suo amico Tom Cruise viaggia verso il miliardo di dollari per ‘Maverick‘. C’è futuro per il cinema in sala?
«Per film spettacolari comeMaverick, per i cartoni, sì. Per altri generi è dura competere con gli schermi di casa, la cui visione è migliorata moltissimo. Le sale diminuiranno».

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Lei puntò su Cruise nell’89 e gli fece guadagnare una candidatura all’Oscar con ‘Nato il 4 luglio’.
«Ha talento, avrebbe potuto scegliere qualunque carriera ma è andato avanti sulla via del successo commerciale, funziona alla grande. Fa appello a un pubblico ampio e il militarismo americano ha il suo appeal. Non per me, penso che sia orribile, che l’America sia sulla strada dell’autodistruzione se non rinuncia all’idea della supremazia militare».

Una scena di ‘Nato il 4 luglio’ Lei ha realizzato un lungo documentario-intervista su Putin. Che impressione ha avuto a riflettori spenti?
«Quel che so di lui è quel che si vede nel documentario. Dopo, non l’ho visto più di una volta. Non so come il suo pensiero sia cambiato. Ma so cheil mondo è diventato difficile per la Russiae che per l’occidente è un rischio usare le sanzioni per ferire gli interessi di altre nazioni. Non ha mai funzionato. Tutti i nostri presidenti, tra cui Obama, direbbero “cosa stiamo facendo?”».

Nel suo doc lei mostra “Il dottor Stranamore” a Putin, che non sembra comprenderlo appieno. Quel film evoca uno scenario che oggi fa paura.
«La nostra energia e la nostra fornitura di cibo dipendono molto dalla Russia. Tutto si ritorcerà contro di noi, lo vediamo già adesso con l’inflazione. L’Ucraina viene usata dagli Usa come arma contro la Russia. Dicono che è una guerra non provocata, io invece penso che lo sia stata. Siamo noi che controlliamo i bottoni. Ora in discussione c’è la leadership: John Kennedy non avrebbe fatto tutto questo, e penso neanche Obama». 

Cosa vede nel suo futuro?
“Se non riuscirò nel progetto cinematografico, scriveròla seconda parte del mio memoriale, Cercando la luce. Il primo è stato un viaggio catartico, c’è voluta tanta concentrazione, è stato un modo per comprendere la mia vita. Ho raccontato i primi quarant’anni, ora ci sono gli altri 35. Tante cose belle e molte delusioni. Ma ho imparato tanto e non vedo l’ora di condividerlo con il mondo”.

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