È calato il sipario sullo spettacolo radioso, geniale, conquistante, picassiano, drammatico e caustico di Piera Degli Esposti, sui magnifici 83 anni dell’attrice italiana che ha (ri)scolpito con le parole, col viso, e con la propria immagine spregiudicata e paradossale, una galleria senza fine di autori, di scuole registiche, di sperimentazioni moderne e di ripensamenti classici, rendendo stoica la comicità, e schizoide il repertorio serio.
È morta, a Roma, all’ospedale Santo Spirito, per complicazioni cardiache e problemi polmonari, quest’artista nata a Bologna nel 1938, partecipe d’ogni genere di pionierismo teatrale e cinematografico che dagli anni Sessanta in poi segnò nella Capitale e in Italia l’avvento di culture, tendenze, filoni, flussi e nuovi linguaggi, giungendo in poco più di un decennio alla soglia popolare e intellettuale di portavoce imparagonabile di un Novecento sempre demistificato con gioia, reso meccanico contro ogni retorica, amato da tutti nella sua versione cantilenante.
Piera Degli Esposti: “Ho amato uomini giovani, i figli che non ho mai avuto”
Simonetta Fiori
23 Ottobre 2017
Ci ha privati del suo contagioso sorriso una creatura fuori del normale che lasciato tracce anomale personalissime, col suo marchio, col suo nome: pensate al romanzo autobiografico Storia di Piera scritto da lei assieme a Dacia Maraini nel 1980, a quell’enciclopedico e bel coffe table book intitolato nel 2014 Bravo lo stesso! – Il teatro di Piera Degli Esposti che le plasmò addosso Manuel Giliberti, o a quel romanzo (pieno di riflessi della sua vita, del suo quartiere al centro storico di Roma, del suo teatro, del suo gusto per l’intreccio) che nel 2020 s’è chiamato L’estate di Piera, scritto a quattro mani con Giampaolo Simi.
Webnotte: Piera Degli Esposti: “Io, Lucio e la Lambretta”
Ma Piera è una leggenda per le avventure coraggiose, superbe e scervellate che lei, passo passo, ha inciso sui palcoscenici italiani, e anche sui set di film d’autore. Dei circa sessanta spettacoli cui questa ridondante e stoica ribelle ha preso parte, andrà ristudiato e valorizzato il gran lavoro cantieristico cui partecipò dal 1965 in poi al Teatro 101 di Roma diretto da Antonio Calenda, alle prese con testi di Boris Vian, Gunther Grass, Genet e Toller, insieme a Virginio Gazzolo e anche a ‘Luigi’ Proietti, finché Calenda la scritturò allo Stabile dell’Aquila per Operetta di Gombrowitz (dove lei parve una sagoma di Chagall) o per l’Orestea.
Piera Degli Esposti, sono stata una conquistatrice
A dirigerla, ancora lì, ne La figlia di Iorio di D’Annunzio, in Goldoni o in Shakespeare ci penserà poi un regista smagato come Giancarlo Cobelli. Ma è nelle mani di una ricercatrice come Ida Bassignano che Degli Esposti, nel frattempo in sodalizio artistico e privato con Tino Schirinzi, s’addentrerà nel 1978 nel terreno dissonante e frammentario a lei congeniale di James Joyce, per la pietra miliare del suo Molly cara dall’Ulisse. L’attende un destino fuori-dal-coro sempre più segnato, con quel lavoro che godrà di tantissime repliche e clamori.
Gigi Proietti, parla Piera Degli Esposti: “Rimpiangevamo i tempi dell’avanguardia”
di
Rodolfo di Giammarco
02 Novembre 2020
Attrice speciale ispiratrice di caparbie regie, progetti e alterità, Piera verrà ricordata a lungo (anche da chi scrive) per la sintesi fenomenale che il regista Massimo Castri conia nel 1980 riducendo Rosmersholm di Ibsen a un dialogo per una coppia, con Schirinzi, attraverso una parete. Lei ha comunque tante anime: entra col piede giusto ne La lunga notte di Medea di Corrado Alvaro, diretta da Werner Schroeter, porta al Beaubourg di Parigi la propria voce, duella memorabilmente con Luca Ronconi a Rimini nel 1984 in una prova aperta a due de I giganti della montagna, affronta Antigone con Tino Carraro (regia di Massimo Liguori Scaglione), si fa guidare da Furio Bordon in Zoo di vetro di Williams.
E quando torna a una messinscena sodale di Calenda è per Madre coraggio, altrimenti per Sandro Sequi si misura con Berenice di Racine o, al Teatro Greco di Siracusa, con Alcesti di Euripide. È digressiva, flessuosa e mutante anche nell’esistenza quotidiana, questa campionessa teatrale del parlottio a sbalzi, delle sillabe sgranate, degli accenti antilirici.
Dal 1993 ricorrono, per lei, alcune regie di Alberto Casari, più giovane di quasi tre decenni, con volto alla Gérard Philipe, compagno per 14 anni: firma il suo D.U.S.E., Le grandi tragiche, una Medea da Pasolini-Callas ideata da Bruno Tosi, un esplicito Omaggio alla Duse.
Dopo, ancora una volta Degli Esposti accetta di affidarsi al suo mentore, Calenda, che la introduce a Raffaele Viviani, a La musica dei ciechi: le scansioni, i rallentamenti di pronuncia dell’attrice suggeriscono la scompostezza giusta. In fondo Eduardo l’aveva elogiata come “‘o verbo nuovo”. E con Calenda, accanto a Roberto Herlitzka e Gabriele Ferzetti, lei è in Prometeo di Eschilo, facendosi condurre con Herlitzka anche in Edipo a Colono di Cappuccio.
Poi nel 1997 Calenda la trascina vistosamente (e con intuito) nella cultura della risata intelligente, con Un’indimenticabile serata da Achille Campanile. Altro notevole mutamento di pelle per Piera. Ora cattura tutti i pubblici. Ma un altro autore le riserverà un ennesimo cambio di marcia drammatico, da via crucis laica.
L’anno dopo sarà la strabiliante protagonista di un a solo da incubo sociale di Antonio Tarantino, Stabat mater, che la regia di Cherif asseconderà con un tormentone rap. Le corde stralunate, acidule, arrochite, sghembe e stridule di Piera elaborano ormai vari lutti: Rappresentazione della Passione, gli Eschilo di Agamennone, Coefore, Persiani, Eumenidi. Ogni tema della tensione umana l’aspetta ne La lunga notte dei miti o in Regine d’Oriente, a cura di Manuel Giliberti. Noi la ricordiamo nel 2014 in panni di immortale Atena, ancora in Eumenidi, a Siracusa, diretta da Daniele Salvo.
“Le mie indagini alla ricerca del delitto perfetto”
di
Dario Cresto-Dina
16 Maggio 2021
Nel mondo dell’opera lirica Piera ha diretto Lodoletta di Mascagni, La notte di un nevrastenico di Nino Rota, La voce umana di Poulenc. In oltre una quarantina di film, lei poteva vantare rapporti importanti con i fratelli Taviani (Sotto il segno dello scorpione), con Pasolini (Medea), con Nanni Moretti (Sogni d’oro), con Marco Ferreri (Il futuro è donna), con Lina Wertmüller (tre titoli), con Marco Bellocchio (L’ora di religione), con Giuseppe Tornatore (La sconosciuta), con Paolo Sorrentino (Il divo: fa la segretaria di Andreotti), con Giuseppe Piccioni, Giovanni Veronesi, Roberta Torre, Laura Morante.
Tra gli ultimi suoi impegni in tv si contano lavori diretti da Riccardo Milani, tra cui la serie Una grande famiglia. Scandalosa, eccessiva, impudente, ricordava d’essersi poggiata un giorno a mangiare dolcetti in via Caetani, a Roma, appoggiata a una macchina rossa, senza sapere che quella era la Renault 4 rossa, usata dalle Brigate Rosse per trasportare, e far ritrovare, il corpo di Aldo Moro. Aveva memorie sempre scomode. Era fatta così. Ci mancherà a tutti. Molto.